Il Castello di Bianello è una delle tappe fondamentali per chi desidera ripercorrere le orme di Matilde di Canossa.
Ne ho parlato già, a proposito del ritratto di Matilde “La Donna con il Melograno“.
Ci sono tornata. Stavolta per scoprire il tesoro che viene custodito all’interno della torre del castello, “quel laudatum acetum” citato dal monaco Donizone di Canossa nella sua opera Vita Mathildis.
La visita guidata si svolge grazie ai membri della Confraternita dell’Aceto Balsamico che conducono i visitatori sulla torre medievale, che custodisce una delle loro acetaie. Anche tutte le altre loro produzioni si trovano nelle torri più belle della provincia: Casalgrande, Novellara, la rocca di Scandiano.
Tra le principali attività della confraternita emergono i corsi per imparare a produrre questa eccellenza del territorio.

Le origini dell’Aceto Balsamico.
Ebbene sì, sembra che la consacrazione storica dell’Aceto Balsamico sia avvenuta proprio tra le righe della biografia di Matilde di Canossa.
Donizone racconta infatti che nel 1046 Enrico II di Germania si stava dirigendo a Roma per essere incoronato imperatore del Sacro Romano Impero. Quando fu nei territori di Piacenza fece chiedere al suo vassallo Bonifacio, padre di Matilde, quell’aceto che si faceva nella rocca di Canossa. Quel laudatum acetum.
Il dono arrivò così all’imperatore, contenuto in una preziosa botticella d’argento.

La Confraternita dell’Aceto Balsamico Tradizionale organizza ogni anno, in occasione della Festa del Patrono della città (San Prospero, 24 novembre) una gara tra aceti balsamici tradizionali maturi, denominato Palio Matildico. Una riproduzione della botticella d’argento che venne donata a Enrico II è il premio che spetta al vincitore della competizione.
Donizone non nominò mai la parola balsamico, tale aggettivo fece la sua comparsa nel 1747 nel registro delle vendemmie e vendite dei vini degli inventari ducali della reggia Estense di Modena.
Questo aceto veniva definito balsamico perchè Lucrezia Borgia, per placare le nausee da gravidanza, assumeva questo nettare, che fungeva quindi da digestivo.
Ancora oggi l’aceto balsamico viene prodotto nelle zone di pianura, fino a 300 metri di altitudine, situate tra le provincie di Modena e Reggio, dove il clima presenta le caratteristiche ideali per ottenere un prodotto eccellente.
Salendo le scale della torre medievale del Castello di Bianello già si sente nell’aria un profumo inconfondibile. Il nettare. Tutto in questi ambienti parla di tradizione e passione, e in questo contesto la nostra guida ci porta a conoscere la storia di questo prezioso prodotto.

Il procedimento.
Gli uvaggi impiegati nella produzione dell’Aceto Balsamico sono quelli tipici della zona: Lambrusco Spergola Trebbiano Ancellotta.
Il mosto non viene fatto fermentare ma viene subito cotto, in paioli aperti, per abbassare il suo volume e aumentare gli zuccheri; in tal modo si addensa e acquista sapore perchè si caramella leggermente. Da qui il classico sapore dell’aceto balsamico.
Viene poi fatto fermentare in modo analogo al mosto dell’uva. La fermentazione dura circa 15 giorni e si acidifica con dell’aceto o con del mosto acidificato.
Dopo 6 mesi, intorno a gennaio febbraio, con il freddo, viene messo nelle botticelle.
Qui nella torre, dove una volta venivano detenuti i prigionieri, ci sono 40 gradi in estate e circa 0 5 gradi in inverno, la temperatura ideale per l’aceto. Infatti in estate evapora l’acqua, in inverno si deposita il fondo in modo da ottenere un prodotto limpido e pulito.
Le botticelle sono tutte di legni diversi perchè ogni legno conferisce all’aceto una caratteristica.
La più piccola è quella da dove viene prelevato, dopo 12 anni, l’aceto; è in rovere o ginepro, legno duro che ha meno perdite negli anni. Le botticelle più grandi sono in legno di castagno gelso e ciliegio.

Il travaso dell’aceto avviene a scalare, dalla botte più grande a quella più piccola. Dopo 12 anni di travasi successivi si preleva un litro di aceto balsamico. Questo fa capire il perchè del prezzo elevato del prodotto finale. Si lavora per 12 anni e si ottiene un solo litro di nettare pregiato.
Un’esperienza a 360 gradi.
La visita nella torre è stata l’occasione per conoscere un prodotto caratteristico, la cui storia risale ad almeno mille anni fa, raccontata da chi ne porta avanti la tradizione con una passione e un impegno davvero lodevole.
L’aroma dell’aceto che si percepisce tra queste mura, le botticelle centenarie protagoniste dell’intero procedimento, la vista splendida sui rilievi appenninici, i fregi sulle pareti della torre risalenti al periodo in cui fu luogo di detenzione. Storia, territorio e passione in un contesto storico così importante.
Non una semplice visita guidata, ma un viaggio attraverso un territorio osservato dalle sue molteplici sfaccettature.
E’ possibile visitare la torre e l’acetaia solamente in alcune date, per conoscerle occorre consultare il sito ufficiale del Castello di Bianello.