Amo fotografare, ma non tutto. Mi capita spesso di uscire con l’attrezzatura per poi lasciarla nella borsa.
Come la sindrome da foglio bianco. Semplicemente non scatta la magia.
Perché la fotografia non è un medium come tutti gli altri, ha un forte potere emotivo e comunicativo, e non può ridursi alla semplice azione dello scatto.
McLuhan inserisce la fotografia tra i media caldi. Sono media meno partecipativi, ad un solo senso di comunicazione, caratterizzati messaggi ad alta definizione e molto ricchi di particolari.
Questo è vero. L’immagine fotografica è spietata. Restituisce esattamente tutti i particolari della realtà.
Ma nonostante ciò sono le emozioni, del fotografo e di chi la osserva, a renderla unica e significativa. Le esperienze, la cultura e lo stato d’animo di entrambi possono influire molto, sull’esecuzione della foto, e sulla successiva lettura.
Le foto di un viaggio, di un momento o di un evento, non hanno mai una stessa chiave di interpretazione. Quante volte la stessa immagine osservata a distanza di tempo evoca in noi ricordi diversi?
C’è sempre un particolare a cui non avevamo dato importanza, un’espressione del viso che ci riporta a ricordi sopiti e addirittura i colori, che a volte paiono più sgargianti e altre più tenui.
E quando le parole non sono più sufficienti?
I miei scatti sono lo strumento che mi guida mentre ripercorro il mio viaggio a ritroso.
Mi sono accorta di non saper scrivere senza avere le foto sott’occhio. Solo la mente non basta a rivivere l’esperienza in modo tanto profondo da riuscire a raccontarla. Ma scorrendo le foto sì. Riaffiorano i ricordi. E le parole ricominciano a fluire, fino a tornare protagoniste.
Questa forza catalizzatrice dell’immagine fotografica non ha nulla a che fare con la qualità artistica dello scatto, non serve. L’efficacia è data dalla sua capacità di rievocare il vissuto personale.
Ecco cos’è per me la fotografia. La scintilla che riaccende un’emozione e da vita ad un racconto.